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Dall'annuario della SAT di Riva del Garda 2020:

Giuliano “Sten” Stenghel

UN GRANDE UOMO,

UN GRANDE ALPINISTA

L'anno che si sta concludendo ha inferto una ferita profonda a tutto il mondo dell'alpinismo non solo trentino: il 14 agosto scorso è morto Giuliano “Sten” Stenghel, precipitato dalle pareti dell'isola di Tavolara, in Sardegna, una palestra naturale a picco sul mare di cui Stenghel si era innamorato perdutamente.

Aveva 67 anni.

Stenghel ha legato il suo nome e le sue imprese anche al nostro territorio, dalle pareti del Colodri a quelle che si tuffano nel lago di Garda, e la notizia della sua prematura scomparsa ha destato profonda tristezza e commozione anche in tutta la Valle del Sarca.

Il nostro Annuario lo vuole ricordare attraverso gli scritti affettuosi e genuini di alcuni suoi amici.

STEN

di Giampaolo Trota Calzà

Suona il cellulare...
“Ciao Paolo… Giuliano non c’è più!”
In quel momento mi trovo cima ad una guglia in mezzo al Monte Bianco e all’improvviso sento il mondo cadermi addosso… avverto un senso di vuoto e tutto gira intorno a me… Subito i pensieri mi portano verso un luogo a me caro.
Quante volte ci siamo trovati su quel traverso sopra il lago, le onde che sbattono contro le pareti, l’Orà che soffia calda quasi che ci sostenesse, le vele delle barche e i veloci surf.
Che storia quel luogo, sei stato il primo ad affrontare quelle pareti che cadono nell’acqua, con quella tua visione nel tracciare dove altri non vedevano, forse imitando luoghi dove eri stato, con la consapevolezza di trovarti a tuo agio in quell’ambiente.
In quella pausa di un’oretta, staccavi la mente e lì per caso ci incontravamo appesi di braccia e corpo senza altri inceppi, cosi liberi da tutto, come piaceva a noi.
Sei sempre stato legato alla roccia e all’acqua, elementi molto vicini tra loro… come uno scalatore in aperta parete, così un nuotatore in mezzo al lago.
Ti vedevo arrivare con la tua barca, saltavi su e scalavi… dicevi che era per allenarti… io invece credo sia un bisogno… appeso a quelle rocce ti senti te stesso.
Per te la vita e sempre stata una missione, dove nei momenti di sofferenza hai dovuto reagire e trovare la tua strada, nella speranza e molte volte nella preghiera.
Penso alla tua Umanità, difficile da raccontare in poche righe. L’Energia, quella che sprigionavi, anzi che trasmettevi a chi ne aveva bisogno… quanti si sono rivolti a te, perché in te vedevano la speranza.

La Disponibilità, per chiunque avesse bisogno di una parola… ricordo la stanza dell’ospedale dove ti ho trovato mentre accudivi un amico che conoscevi da poco.
Penso alla tua storia … purtroppo a volte il destino ci riserva un percorso che non vorremmo, ma che purtroppo ci troviamo costretti a seguire... la tua determinazione nell’andare avanti con la Speranza in un futuro migliore è stata un esempio da seguire.
Il più grande ricordo che ho di te riguarda quella volta che ho marinato la scuola e sul ponte di Arco tutti guardavano in alto, verso la rupe del Castello… la gente mormorava incredula di quei matti che scalavano lassù e diceva: “ma si l’è el Stenghel, si si el Giuliano sì…“.
Quello è stato un momento di grande emozione… l’ammirazione del gesto e la paura che potesse succedere qualcosa, mi ha ammagliato a tal punto, da diventare stimolo nel mio percorso di vita.
Grazie Giuliano e forse un grazie è poco… Come a tanti, anche a me hai dato molto, soprattutto capire il valore del proprio tempo, che non è quello materiale che al giorno d’oggi ci sta distruggendo, ma quel valore nel donarlo agli altri, con l’emozione di aver fatto del bene. 

 

DRINN DRIINNN…

di Danny Zampiccoli


- Pronto, chi è ?
- Ciao, sono Ciano. Come stai Danny ?
Questo vi fa capire da quanto conosco Giuliano Stenghel... dai tempi in cui nelle case c’era solo quel telefono fisso, con la rotella che girava per comporre i numeri…
- Bene, grazie! E tu?
- Bene anch’io. Ho un bel progetto …

E senza nemmeno farlo terminare io gli chiedevo
- Dove andiamo ad arrampicare?
Quella volta però la sua richiesta fu diversa.
- Voglio scrivere un libro di racconti di montagna con i miei amici alpinisti e tu Danny devi scrivere una delle tue avventure per me! 

Chiedermi di usare una penna per raccontare, è come chiedere ad una formica di scalare L’Everest: mi costa una fatica immensa, il tempo che impiego a leggere e rileggere è infinito e il risultato spesso banale. Ma stavolta la motivazione andava oltre questi ostacoli. Il progetto di Ciano sosteneva i meno fortunati, quelli che non potevano andare in giro per il mondo a scalare l’inutile; era in grado di realizzare un progetto incredibile in modo eccellente.
Non potrò mai ringraziarti abbastanza per avermi dato l’opportunità di dare una mano a chi ne ha veramente bisogno. Coinvolgere tanti alpinisti che raccontano di montagna per un progetto comune: questa è stata la sua forza!
Se penso al motivo per il quale Ciano mi ha convinto a sedermi davanti ad un foglio bianco mi compare la sua limpidezza d’animo.
Ti voglio bene
Il tuo caro amico Danny


CONTINUIAMO A SOGNARE

di Franco Franz Nicolini

Poco tempo fa al ritorno da una delle tante giornate di scalate insieme una volta mi hai detto: “Ora che siamo diventati vecchi, i nostri sogni ci consentono di guardare avanti anche quando la vita sembra volerci portare indietro ai soli ricordi, ma per sognare non c’è età, un uomo è vecchio solo quando i rimpianti, in lui, superano i sogni.
Quindi continuiamo a sognare perché il mondo è nelle mani di coloro che, nonostante tutto, hanno ancora il coraggio di correre il rischio di vivere i propri sogni.”
Una filosofia di vita coraggiosa, com’ era coraggioso il tuo modo di intendere la scalata, pulita, con minimi mezzi artificiali, instaurando una lotta con le proprie paure. Per Te lottare per una cima non era la conquista dell’inutile, ma un modo di fortificarsi dentro e fuori, per imparare a soffrire, a lottare, a sognare e molto altro.
Con il tuo entusiasmo e la tua forza vitale hai trasmesso non solo a me ma anche a molte altre persone tanta passione e voglia di vivere.

Mi ricordo tanti anni fa quando assieme abbiamo percorso alcune scalate sulle (allora) sconosciute
pareti del lago e della valle del Sarca. Avresti potuto scalare con alpinisti più famosi e bravi invece volevi condividere queste nuove esperienze con me, un giovane in erba e con poca esperienza.Mi parlavi del tuo spirito che è rimasto sempre uguale, trovare delle linee naturali logiche cercando i passaggi più facili su pareti difficili con il minimo di materiale, talmente minimo che alcune volte ci siamo trovati in
situazioni delicate e difficili.
Un particolare ricordo del passato su tanti, mi rimane la nostra scalata alla parete del Casale con Fabio e Guido. Ci avevi preventivato una bella scalata con un bivacco su larga cengia e un bel fuoco. Alla fine ne è uscita una via che abbiamo chiamato “Follia”, il nome riassume le forti difficoltà incontrate con la brutta roccia
e con un bivacco fatto su una sosta marcia. Al ritorno eravamo comunque contenti e ci hai ricordato
che: ”La vita è fatta di istanti, momenti che incarnano una parte importante del nostro cammino, che si misurano con i battiti del cuore e preannunciano situazioni indimenticabili”.
Questo eri Giuliano, un combattente con un cuore d’oro, per Te molte volte prevaleva amicizia invece che concludere una salita per apparire.
Hai passato momenti difficili con la malattia e l’immensa sofferenza per la perdita di Serenella, ma con la Tua grande forza hai reagito e hai continuato a vivere intensamente costruendo una nuova famiglia e crescendo le Tue due figlie con Nicoletta.
In questi ultimi anni, dopo aver fatto nel frattempo, parecchie esperienze individuali separate sulle montagne del mondo, ci siamo riavvicinati e assieme abbiamo vissuto ancora momenti di scalata avventurosa, proprio per il piacere di farlo e di condividere la nostra duratura amicizia.
La mia stima per il Tuo ardimento era ed è massima, simile a uomini scalatori vissuti nel passato che hanno segnato con le loro scalate pagine di storia e che sono rimasti immortali IMMORTALE, ecco la parola che in questo momento più Ti impersona, la Tua figura di amico e scalatore, anche adesso che non sei più fra noi, ci trasmette forza, ardimento e passione.
Tuttavia senza di Te, la Valle del Sarca non sarà più la stessa.
“Capolavoro” è il nome dato alla nostra ultima linea che abbiamo disegnato, una scalata sulla scogliera nella parte più difficile della Tavolara, una giornata indimenticabile, anche se, come sapevi, il mare mi spaventava!
Nella discesa mi avevi detto: “Nella nostra vita ognuno di noi lascia delle tracce, alcune caduche, altre scolpite che si perdono nel tempo, ma capita che riaffiorino e ci parlino di noi. E le nostre tracce non sono come le righe spumeggianti che appaiono nel mare, ma sono impronte scolpite nella roccia che in eterno parleranno di noi“.
Ciao Giuliano

UN BURLONE DAL CUORE D’ORO

di Sergio Coltri


Il 14 agosto 2020 è un giorno che resterà dolorosamente indelebile nel mio animo, quel giorno Giuliano ci ha lasciato, è volato in cielo, fra gli angeli e dal suo Dio e la sua Madonna che lui, nella sua vita terrena, in ogni gesto e in ogni occasione possibile portava ad esempio per infondere agli altri l’altruismo. Bontà e generosità verso le persone che avevano bisogno sono stati un motivo della sua esistenza e questo suo donare lo ha fatto
diventare il grande uomo che è stato e che rimarrà nel mio cuore e nel cuore di moltissime persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
Mi piace però ogni tanto vagare nei miei ricordi di gioventù quando, in quel periodo, la roccia, l’alpinismo, la scalata era per me la cosa più importante al mondo e di conseguenza rincorrevo i fuoriclasse, i “miti”, gli alpinisti con la A maiuscola e questi erano i punti di riferimento per poi cercare di imitarne goffamente le loro gesta.
Alla fine degli anni Settanta, primi Ottanta, il mio punto di riferimento era appunto Giuliano che, ancora prima di conoscerlo, leggevo e ammiravo per le sue difficilissime salite realizzate nello stile più puro e più coraggioso possibile.
La sua forza, la sua capacità, la sensibilità nel muoversi in parete con pochissimi chiodi e su roccia che definire friabile (su certe vie) era un eufemismo, lo hanno fatto diventare un grande esempio di alpinista da imitare. Arrivò il giorno che ebbi la fortuna di conoscerlo ed è stato un incontro talmente sentito da parte mia che mi
sembra sia successo solo ieri. Nell’81-’82 io e il mio amico e compagno di corda Carlo, avevamo appena ripetuto una sua via, “l’Agostina” al Colodri, per noi, al tempo, fu una ripetizione al limite delle nostre capacità arrampicatorie e psicologiche e ne uscimmo totalmente inebetiti, ma la soddisfazione e l’orgoglio che ci procurò ci diede la sensazione di essere dei supereroi. Nel ritorno all’auto, a quel tempo, era rito passare
dal Bepi sotto la parete del Colodri e li, per la prima volta, conobbi Giuliano. Intimidito per l’emozione e il rispetto che serbavo per lui, mi avvicinai per fargli i complimenti per la sua via appena percorsa, pensavo di infastidirlo, ma con mio stupore mi mise una mano sulla mia spalla e si complimentò con noi invitandoci a sedere e a bere un bicchiere di vino con lui offertoci dal Bepi. Da quel giorno nacque un profondo e crescente rapporto di amicizia durato fino al 14 agosto ma che prosegue dentro di me e durerà per tutto il resto dei miei giorni.
Giuliano aveva un carattere vulcanico e questa sua energia la esprimeva sia sulla roccia che nella vita di tutti i giorni. Era un’icona, un leader, un trascinatore ma era anche un simpatico burlone e il suo entusiasmo contagiava chi aveva intorno.
Ricordo tanti episodi inventati e improvvisati al momento di scherzi e burle che lui era solito fare e ne voglio citare uno che al tempo, li per lì, quasi quasi ci stavo per cascare anch’io. Sempre ai primi anni Ottanta e sempre di ritorno da un’altra scalata al Colodri, io con Carlo e lui con un suo amico, ci ritrovammo nei pressi delle Marocche che altro non sono che gli innumerevoli blocchi di frana che ci sono subito a sinistra del Colodri, sul sentiero che porta alla ferrata.
Al tempo era consuetudine servirsene per puro allenamento, effettuando brevi passaggi più o meno dfficili per poi apprestarsi a compiere salite a più tiri su pareti vere. Per molti giovani invece era un’attività quasi fine a se stessa, al tempo definita anche “sassismo”. Arrampicata svolta rigorosamente a dorso nudo, scarpette e sacchetto con la magnesite, nessuna protezione a terra, il crash pad non esisteva! Giuliano non prendeva nemmeno in considerazione quel tipo di attività e men che meno la magnesite, secondo lui nulla aveva a che fare con l’arte di arrampicare su grandi pareti e di conseguenza non considerava nemmeno quelli che la praticavano. Con Giuliano iniziammo a dialogare scambiandoci impressioni e informazioni sulle salite che ognuno di noi aveva appena effettuato, nel frattempo un ragazzo che stava arrampicando su un blocco,
conoscendo e ammirando Giuliano, corse subito da lui e gli chiese che via fosse andato a fare sul Colodri. Giuliano, con il suo fare estroso, gli rispose che era andato a fare la “traversata degli dei” e li per li non avendone mai sentito parlare, rimasi ad ascoltare la risposta, il ragazzo gli chiese allora dove si trovasse la “traversata degli dei” e lui sempre in modo quasi canzonesco gli rispose “Tei! la parte dala via del Bepi, sù quasi
en zima e la traversa via tuta la parete fin a la Micheluzzi!”. Il ragazzo osservò tutta la parete e rimase stupito da tanto ardore e coraggio di Giuliano e quasi s’inchinò complimentandosi con lui e dicendogli “te sei propi un grande, te sei el pu fort de tuti”. Poi ci incamminammo per finire la discesa e sapendo la via che invece
aveva salito subito gli chiesi “ma che c...o è sta traversata degli dei”? Lui ridendo mi rispose “no la ghè, sa vot chel sapia qel bocia li! El ga en ment sol che i sasi e el magnesio, almen ades el ga da contar qualcoza de nof!”.
Devo dire la verità, da tanto bene che l’aveva raccontata indicando tutto il traverso con un dito, per un attimo avevo quasi creduto che ci fosse davvero e finimmo a ridere davanti al solito bicchiere di vino del Bepi. Credo che se ognuno che l’ha conosciuto scrivesse qualche aneddoto di lui, ne uscirebbe un librone dalle dimensioni
di un vocabolario. Giuliano oltre a tutto il bene che ha fatto, tanto altro ne ha ricevuto dalla moglie Nicoletta, la colonna portante della sua vita, donna eccezionale che lo ha accompagnato, seguito e aiutato sempre, cosa assolutamente non facile, anche nei momenti più difficili, con sacrificio e amore, e dalle due bellissime figlie Chiara e Martina. Solo il tempo valorizzerà e ingrandirà ogni essere umano che ha creato e lasciato una traccia di bontà in questa vita e farà da esempio per le generazioni future.

Ciao Giuliano.

CIAO STEN 

Col tuo alpinismo ripieno di umanità hai lasciato nobile traccia
di Giovanni Padovani

Giuliano Stenghel ha concluso il suo cammino nel corso di una salita su una parete dell’isola di Tavolara, in Sardegna. Un eden dell’arrampicata, da lui valorizzato. Un eden tra mare e natura, dove appena poteva si rifugiava. Aveva sessantasette anni, straripante di gioia di vivere, in piena efficienza e con un’affermata, solidissima esperienza alle spalle, anche come arrampicatore solitario su percorsi delicati. “Il maestro del friabile” era l’appellativo che si era meritato per vie aperte nella Valle del Sarca. 
Molti, specie i non roveretani, la notizia l’hanno appresa la sera della presentazione al Mart di Rovereto del film su Armando Aste, dal ricordo che ne hanno fatto i sodali di arrampicata Marco Furlani e Alessandro Gogna. Un ricordo carico di commozione. Il profilo alpinistico di Giuliano Stenghel è emerso in tutta la sua pienezza. 
Il curriculum parla di oltre 200 prime, molte delle quali nell’area della Valle del Sarca, del Garda e in Dolomiti. Chi arrampica su quelle difficoltà meglio potrà dire e testimoniare del suo talento alpinistico. A noi, che l’abbiamo praticato sul piano dell’amicizia idealmente condivisa, ci viene immediato ricordarlo come Uomo. Per Stenghel la montagna è stata una scoperta di riscatto. Un dono che in età giovanile gli ha cambiato l’esistenza. Lui stesso spesso ricordava come la bellezza della montagna ebbe a scoprirla per una salita escursionistica al Monte Stivo che alcuni animatori praticamente gli imposero. 
Fu il primo contagioso incanto. A seguire poi i primi approcci sulle vie delle palestre casalinghe di Castel Corno e del Croz di Naranc’, che dominano Rovereto. È quanto ha desiderato raccontare nel suo libro “Il suono del corno”. Di lì un susseguirsi di arrampicate di prestigio: la via del Calice al Sasso lungo e il Salto delle streghe sul Garda, tanto per fare degli esempi. Ma sarebbe riduttivo dire di lui soltanto come arrampicatore, perché egli ha maturato la pienezza della sua passione, forgiato dalle prove della vita. Fatta famiglia con Serenella, poco dopo l’ingresso in casa del sorriso di una bimba, la moglie muore per un male cui la scienza medica non sa dare ancora piena risposta. 
Prova dolorosa, che lo scombussola, ma poi si rialza in forza della memoria che porta in sé di Serenella e del dovere di padre. Costituisce la “Serenella Onlus”, che ha come motto “Montagna e solidarietà” e attraverso questa rete associativa porta aiuto tra gli ultimi di terre lontane. 
Scrive libri e li diffonde per raccogliere fondi. Libero dal cosiddetto “rispetto umano”, parla apertamente della sua fede e del sostegno in essa trovato. Una fede sorgiva, che sa di antiche radici di terra di montagna. Crede fermamente nella montagna come “terapia dello spirito”, un passo oltre al richiamo dell’avventura e del mero estetismo fisico. In forza del suo bagaglio tecnico di istruttore d’alpinismo e di guida alpina, attività che non esercita, fa propri i problemi del disagio giovanile e avvia la Scuola d’alpinismo di Castel del Corno, appunto finalizzata a questo scopo. 
Ritorna serenamente alla vita con la ripresa piena dell’attività alpinistica e con Nicoletta, la nuova sposa, fedelmente vicina nel suo impegno a sostegno di chi nella vita è tra gli ultimi. Ecco lo Sten che teniamo in noi, che ci accompagna risalendo alla prima conoscenza e poi all’amicizia intrecciatesi attraverso Armando Aste, che in lui individuava nel rapporto con l’alpinismo un po’ di se stesso. Per noi un rapporto via via consolidatosi attraverso Giovane Montagna, nella quale si ritrovava. 
Lo sguardo va al desktop, sul quale sta una cartella col suo nome. Nell’ultima lettera il grazie per il dono dei suoi ultimi libri e il rammarico del saluto del rientro venuto meno alle esequie dell’Armando, per la somma di emozioni che aveva avvolto tutti. Ma poi anche il desiderio di dare seguito all’intervista che Giovane Montagna (n. 1/2006) gli aveva riservato. 
Non sarebbe di certo mancata. E invece non ci sarà, se non nel genere delle “interviste impossibili”, sull’onda della memoria. Sten è ora nella dimensione dell’eternità, dove l’ha collocato la sua Fede e la testimonianza, semplice ed essenziale, ad essa data. 
Caduto sulla parete dell’isola di Tavolara, ha arrampicato oltre. È questa la lezione che egli lascia ad un alpinismo che, a detta di Reinhold Messner, «sta perdendo il sale dell’avventura» per chiudersi in estetismo, forse personalmente appagante, ma fine a se stesso. 
Giovanni Padovani

UNA FINESTRA SOLIDALE

La follia della passione per la solidarietà


L’ASSOCIAZIONE SERENELLA, L’IMPEGNO DI GIULIANO STENGHEL
“La solidarietà è un sentimento che deve partire dal cuore, non chiacchiere attorno ai divani o tavole rotonde; ma la carità con profonda umiltà.
Sono fermamente convinto che il modo migliore per convincere a fare del bene sia quello di farlo in
prima persona. Carità quindi, che ci rende forti e grandi nel cuore e che trasforma la nostra pochezza in ricchezza e, inevitabilmente ci avvicina a Dio. Vi è più gioia nel dare che nel ricevere…
L’Associazione Serenella, grazie alla generosità di tante persone, è riuscita a creare un ponte essenziale fra noi e molte popolazioni povere organizzando importanti iniziative di solidarietà.
Un giorno … Un’anziana signora con la “minima” di pensione, voleva adottare un bambino a distanza; era un po’ preoccupata poiché non sapeva se, qualche imprevisto le avrebbe permesso di continuare il suo impegno per il futuro.
Dopo averla ascoltata, commosso da tanta nobiltà di sentimenti, la tranquillizzai assicurandole che l’adozione a distanza non comportava alcun obbligo, anzi avrebbe potuto smettere il suo gemellaggio in qualsiasi momento.
La invitai persino a limitarsi ad una piccola offerta, m’interruppe facendomi capire come la sua scelta fosse il sogno di una vita. Per un attimo, ho pensato alla vedova del vangelo che donava gli ultimi spiccioli ed ho  imparato per l’ennesima volta quale fosse la carità, quella vera!”

Sten


… non sarà facile portare avanti ciò che Giuliano ha creato, anche se lui sosteneva che “Serenella” non era opera sua, ma qualcosa voluto dall’alto.
Con lo spirito con la quale è nata, continuerà ad esistere così come la volontà di fare del bene, Giuliano era ispirato e tutto ciò che usciva dal suo cuore diveniva realtà. Ora, quest’ispirazione non sarà più così evidente ma sono sicura che in qualche modo ce la trasmetterà. La determinazione, la testimonianza e la forza che Giuliano ha espresso in questi vent’anni di associazione con la presentazione di libri, calendari e quant’altro
non finirà solo perché lui ha cambiato vestito, anzi, siamo chiamati in causa per mostrare ciò che lui ci ha trasmesso e insegnato. Ognuno si esprimerà con i propri tempi, e modi di comunicare o agire, ma con un
unico obiettivo, cioè quello della carità.
FEDE AMORE CARITA’, ma quella più grande, anzi la cosa più grande del mondo è la carità.
Nicoletta

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